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mercoledì 16 ottobre 2013

L'inferno visto da Santa Teresa d'Avila


Monaca e riformatrice del Carmelo, Teresa di Gesù, nata ad Avila in Spagna il 28 marzo 1515 e morta ad Alba il 4 ottobre 1582, è una dei Santi che ha visto l'inferno. Lo racconta essa stessa nella vita scritta da lei in questi termini: «Un giorno mentre ero in orazione; mi trovai tutt'a un tratto trasportata intera nell'inferno. Compresi che Dio mi voleva far vedere il luogo che i demoni mi avevano preparato, e che io mi ero meritato con i miei peccati. Fu una visione che durò pochissimo, ma vivessi anche molti anni, mi sembra di non poterla più dimenticare. L'ingresso mi pareva un cunicolo molto lungo e stretto, simile a un forno assai basso, buio e angusto; il suolo tutto una melma puzzolente piena di rettili schifosi. In fondo, nel muro, c'era una cavità scavata a modo di nicchia, e in essa mi sentii rinchiudere strettamente. E quello che allora soffrii supera ogni umana immaginazione, né mi sembra possibile darne solo un'idea perché cose che non si sanno descrivere. Basti sapere che quanto ho detto, di fronte alla realtà sembra cosa piacevole. Sentivo nell'anima un fuoco che non so descrivere, mentre dolori intol­lerabili mi straziavano orrendamente il corpo. Nella mia vita ne ho sofferto moltissimi, dei più gravi che secondo i medici si possano subire sulla Terra, perché i miei nervi si erano rattrappiti sino a rendermi storpia, senza dire dei molti altri di diverso genere, causatimi in parte dal demonio. Tuttavia, non sono nemmeno da paragonarsi con quanto allora ho sofferto, specialmente al pensiero che quel tormento doveva essere senza fine e senza alcuna mitigazione. Ma anche questo era un nulla innanzi all'agonia dell'anima. Era un'oppressione, un'angoscia, una tristezza così profonda, un così vivo e disperato dolore che non so come esprimermi. Dire che si soffrano continue agonie di morte è poco, perché almeno in morte pare che la vita ci venga strappata da altri, mentre qui è la stessa anima che si fà in brani da sé. Fatto sta che non so trovare espressioni né per dire di quel fuoco interiore né per far capire la disperazione che metteva il colmo a così orribili tormenti. Non vedevo chi me li faceva soffrire, ma mi sentivo ardere e dilacerare, benché il supplizio peggiore fosse il fuoco e la disperazione interiore. Era un luogo pestilenziale, nel quale non vi era più speranza di conforto, né spazio per sedersi o distendersi, rinserrata com'ero in quel buco praticato nella muraglia. Orribili a vedersi, le pareti mi gravavano addosso, e mi pareva di soffocare. Non v'era luce, ma tenebre fittissime; eppure quanto poteva dar pena alla vista si vedeva ugualmente nonostante l'assenza della luce: cosa che non riuscivo a comprendere. Per allora Dio non volle mostrarmi di più, ma in un'altra visione vidi supplizi spaventosissimi, fra cui i castighi di alcuni vizi in particolare. A vederli parevano assai più terribili, ma non mi facevano tanta paura perché non li sperimentavo, mentre nella visione di cui parlo il Signore volle farmi sentire in ispirito quelle pene ed afflizioni, come se le soffrissi nel corpo [...]. Sentir parlare dell'inferno è niente. Vero è che io l'ho meditato poche volte perché la via del timore non è fatta per me, ma è certo che quanto si medita sui tormenti dell'inferno, su quello che i demoni fanno patire, o che si legge nei libri, non ha nulla a che fare con la realtà, perché totalmente diversa, come un ritratto messo a confronto con l'oggetto ritrattato. Quasi neppure il nostro fuoco si può paragonare con quello di laggiù. Rimasi spaventatissima e lo sono tuttora mentre scrivo, benché siano già passati quasi sei anni, tanto da sentirmi agghiacciare dal terrore qui stesso dove sono. Mi accade intanto che quando sono afflitta da qualche contraddizione o infermità, basta che mi ricordi di quella visione perché mi sembrino subito da nulla persuadendomi che ce ne lamentiamo senza motivo. Questa fu una delle più grandi grazie che il Signore m'abbia fatto, perché mi ha giovato moltissimo non meno per non temere le contraddizioni e le pene della vita che per incoraggiarmi a sopportarle, ringraziando il Signore d'avermi liberata da mali così terribili ed eterni, come mi pare di dover credere».


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